di Nikos A. Salìngaros
La nostra civiltà tecnicamente avanzata ha il dovere morale di costruire un ambiente che agevola la vita umana, e, allo stesso tempo, di proibire costruzioni inumane erette a gloria di qualche ideologia, come furono le piramidi della casta religiosa legata al Faraone. Ebbene, anche presso di noi sono state elevate piramidi: non tombe reali, ma appartamenti per la classe operaia e disoccupata. Nessun borghese sognerà mai, se non in un incubo terrificante, di andare ad abitare in simili prigioni architettoniche, ma l’elite architettonica e politica ha trovato le cavie da chiudervi dentro. Negli anni ’60 le critiche contro questo autentico crimine sociale erano poche; difatti le facoltà d’architettura e i critici con la pipa in bocca li difendevano. Ma oggi sappiamo, grazie ad ampi studi scientifici, che la vita, negli ecomostri, viene distrutta dalla stessa loro geometria. È dunque tempo di rivedere totalmente il concetto di cosa sia la geometria edilizia di un ambiente sano. Oggi sappiamo come costruire ambienti urbani e architettonici sani. Con sorpresa degli accademici irrigiditi nelle vecchie formule, elementi architettonici e urbanistici necessari per la salute fisica e mentale degli abitanti si ritrovano nei prototipi tradizionali e vernacolari. Eppure, nonostante le verifiche sperimentali, l’elite questo messaggio non lo vuole proprio sentire. E purtroppo c’è ancora diversa gente che pende dalle labbra di una cricca di politici e di presunti “esperti”, e ne segue ciecamente il diktat, condito di promesse di sviluppo e progresso attraverso la costruzione di spaventevoli e lucidi ecomostri.
Le Vele di Scampia non sono che un esempio fra molti di questa architettura inumana, totalitaria, tipica degli anni ’60 e ’70. Quando si scoprì che la thalidomidina induceva deformazioni nei feti umani, venne bandita dal mercato farmaceutico. Gli ecomostri invece continuano a ricevere l’appoggio fervente di un’intera classe di architetti alla moda, nonché di istituzioni che si vorrebbero responsabili della formazione di giovani professionisti. C’è più di un parallelo con quelle scuole di farmacologia dove s’insegnava che il Thalidomide era un buon medicamento contro la nausea provocata dalla gravidanza; ma quel crimine, con le conoscenze raggiunte, non lo si permette più. Perché allora tanto timore reverenziale, ancora, verso gli architetti famosi che promuovano gli ecomostri, e fanno finta che Corviale, Zen2, Vele e Tor Bella Monaca sono «bellissimi»? Il dibattito architettonico sulla demolizione di ecomostri come le Vele di Scampia non ha a nulla che spartire con una raffinata conversazione tra punti di visto estetici diversi, ognuno con la sua dignità, perché prima di tutto qui sono in gioco le conseguenze nocive sulla vita degli abitanti. Se un critico promuove un parere che ignora la distruzione della società attraverso una geometria sbagliata, questo critico non è soltanto ignorante, ma provoca danni perché ascoltato dalla gente come esperto. Credo che sia venuto il tempo di ridestarsi dalla gran bugia promossa dall’autoreferenzialità architettonica, cominciando col rifiutare razionalmente la propaganda e la manipolazione mediatica che pretende di definire “opere d’arte” gli ecomostri. Opere d’arte tossiche.
La propaganda architettonica continua ad atteggiarsi in un gran sussiego, ora è giunta a sostenere la conservazione dei mostri in quanto monumenti dei nostri tempi, cioè in nome di un presunto valore storico del male che l’uomo è capace di infliggere ai propri simili. Ma naturalmente non si tratterebbe di dichiarare Le Vele un «monumento al totalitarismo e all’anti-scienza», e lasciarlo vuoto come un monito all’arroganza umana! Gli architetti à la page vogliono che le cavie continuino ad abitarvi dentro. La contraddizione è solo apparente se si guarda al loro scopo disgustoso e disonesto: mantenere un monumento «vivo» a gloria e sostegno di un’ideologia antiumana, nonostante il suo chiaro fallimento.
http://fattoadarte.corriere.it/2011/03/salvare_o_abbattere_le_vele_di.htmlLa nostra civiltà tecnicamente avanzata ha il dovere morale di costruire un ambiente che agevola la vita umana, e, allo stesso tempo, di proibire costruzioni inumane erette a gloria di qualche ideologia, come furono le piramidi della casta religiosa legata al Faraone. Ebbene, anche presso di noi sono state elevate piramidi: non tombe reali, ma appartamenti per la classe operaia e disoccupata. Nessun borghese sognerà mai, se non in un incubo terrificante, di andare ad abitare in simili prigioni architettoniche, ma l’elite architettonica e politica ha trovato le cavie da chiudervi dentro. Negli anni ’60 le critiche contro questo autentico crimine sociale erano poche; difatti le facoltà d’architettura e i critici con la pipa in bocca li difendevano. Ma oggi sappiamo, grazie ad ampi studi scientifici, che la vita, negli ecomostri, viene distrutta dalla stessa loro geometria. È dunque tempo di rivedere totalmente il concetto di cosa sia la geometria edilizia di un ambiente sano. Oggi sappiamo come costruire ambienti urbani e architettonici sani. Con sorpresa degli accademici irrigiditi nelle vecchie formule, elementi architettonici e urbanistici necessari per la salute fisica e mentale degli abitanti si ritrovano nei prototipi tradizionali e vernacolari. Eppure, nonostante le verifiche sperimentali, l’elite questo messaggio non lo vuole proprio sentire. E purtroppo c’è ancora diversa gente che pende dalle labbra di una cricca di politici e di presunti “esperti”, e ne segue ciecamente il diktat, condito di promesse di sviluppo e progresso attraverso la costruzione di spaventevoli e lucidi ecomostri.
Le Vele di Scampia non sono che un esempio fra molti di questa architettura inumana, totalitaria, tipica degli anni ’60 e ’70. Quando si scoprì che la thalidomidina induceva deformazioni nei feti umani, venne bandita dal mercato farmaceutico. Gli ecomostri invece continuano a ricevere l’appoggio fervente di un’intera classe di architetti alla moda, nonché di istituzioni che si vorrebbero responsabili della formazione di giovani professionisti. C’è più di un parallelo con quelle scuole di farmacologia dove s’insegnava che il Thalidomide era un buon medicamento contro la nausea provocata dalla gravidanza; ma quel crimine, con le conoscenze raggiunte, non lo si permette più. Perché allora tanto timore reverenziale, ancora, verso gli architetti famosi che promuovano gli ecomostri, e fanno finta che Corviale, Zen2, Vele e Tor Bella Monaca sono «bellissimi»? Il dibattito architettonico sulla demolizione di ecomostri come le Vele di Scampia non ha a nulla che spartire con una raffinata conversazione tra punti di visto estetici diversi, ognuno con la sua dignità, perché prima di tutto qui sono in gioco le conseguenze nocive sulla vita degli abitanti. Se un critico promuove un parere che ignora la distruzione della società attraverso una geometria sbagliata, questo critico non è soltanto ignorante, ma provoca danni perché ascoltato dalla gente come esperto. Credo che sia venuto il tempo di ridestarsi dalla gran bugia promossa dall’autoreferenzialità architettonica, cominciando col rifiutare razionalmente la propaganda e la manipolazione mediatica che pretende di definire “opere d’arte” gli ecomostri. Opere d’arte tossiche.
La propaganda architettonica continua ad atteggiarsi in un gran sussiego, ora è giunta a sostenere la conservazione dei mostri in quanto monumenti dei nostri tempi, cioè in nome di un presunto valore storico del male che l’uomo è capace di infliggere ai propri simili. Ma naturalmente non si tratterebbe di dichiarare Le Vele un «monumento al totalitarismo e all’anti-scienza», e lasciarlo vuoto come un monito all’arroganza umana! Gli architetti à la page vogliono che le cavie continuino ad abitarvi dentro. La contraddizione è solo apparente se si guarda al loro scopo disgustoso e disonesto: mantenere un monumento «vivo» a gloria e sostegno di un’ideologia antiumana, nonostante il suo chiaro fallimento.
Bravo Salingaros. Siete gli unici a dire pane al pane, in un contesto di ipocrisia senza fine!
RispondiEliminaGiorgio Barolini
Abbattete quell'orrore di Scampia, e le macerie regalatele a chi vuole tenerle in piedi... senza abitarci.
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