venerdì, dicembre 03, 2010

Il crepuscolo della contemporaneità

di Antonio Caperna - 03/12/2010

Scriveva Paul Ricoeur: «sembra che il genere umano, avvicinandosi en masse a una elementare cultura di consumo, si sia fermata en masse a un livello subculturale». Il dominio culturale dell’Occidente su scala planetaria, fa si che ovunque nel mondo possiamo ritrovare le stesse mostruose banalità della cultura consumista. In Architettura ciò significa che, uccisa la tradizione, costruire a Londra a Shangai o New York è la stessa cosa. Non si scorgono differenze formali o tipologiche. Viviamo in una sorta di “bolla subculturale” che nella sua tragica avanzata ha consumato il nucleo etico e mitico della nostra civiltà. Dai processi di standardizzazione industriale si è giunti a quelli di appiattimento delle “produzioni dell’intelletto”, una condizione di senilità del pensiero. Se da un lato il progresso tecnologico avanza nella sua inesorabile corsa, dall’altro lato vi è una parabola discendente della nostra spiritualità e delle forze che alimentano la vita. Queste ultime si stanno sempre più affievolendo. L’architettura è un segno tangibile di questa decadenza e spossatezza propria dei periodi finali di una cultura.

Con la modernità si è affermata una struttura filosofica in chiave razional-meccanicistica. Si è assistito, così, ad un radicale cambiamento sul valore ultimo e sul senso da dare non solo alle scoperte scientifiche ma anche alla stessa esistenza. La nostra cultura ha finito con l’intendere la realtà solo attraverso il filtro delle conoscenze tecnico-scientifiche. Questa esaltazione dell’anima tecnica, che rinnega tutti gli atteggiamenti e le manifestazioni più propriamente umani, ha cambiato il nostro atteggiamento verso la natura. Essa è divenuta qualcosa di estraneo. Un universo che l’uomo razionalista ha immaginato di poter leggere ed interpretare attraverso le leggi esatte della meccanica. Da quest’atteggiamento mentale scaturisce poi la propensione all’olocausto della terra alimentata dagli attuali processi economici e finanziari. Infine, non va dimenticato che la cultura razionalista, attraverso un’ideologia tutta rivolta verso un progresso sottomesso alla verifica del comando scientifico, ha finito con il frantumare il sapere in mille rivoli al solo scopo di ottenere, per ciascun “micro-ambito” il massimo, sia in termini tecnici che di ricadute economiche.

Quali i segni tangibili
È da dire che in determinati momenti storici vi sono necessità intrinseche che inducono cambiamenti radicali nella struttura culturale di una civiltà. Il tempo in cui viviamo, è uno di quegli archi temporali dove comincia ad affermarsi un nuovo paradigma che, mano a mano, produrrà profonde trasformazioni nella società futura.
Il modello culturale dominante l’attuale società si distingue per alcune caratteristiche che, come ho detto poc’anzi, sono tipici delle società in decadenza. Si pensi, ad esempio, ai fenomeni di gigantismo e dalla intrinseca necessità del sistema ad espandersi in modo spasmodico. In tale ottica vanno visti, ad esempio, le forme ipertrofiche di crescita urbana come il fenomeno delle megalopoli, i megaedifici o il modello economico-finanziario che ha mostrato, ultimamente, i suoi tratti peggiori. È un modello che deve divorare risorse per crescere, attuando un lento ma inesorabile matricidio.
Un altro segno è rappresentato dalla perdita del senso del sacro, ovvero l’incapacità dell’uomo contemporaneo a rapportarsi col divino. Si guardino le chiese realizzate negli ultimi decenni nelle nostre città. Sembrano capannoni industriali o, nel migliore dei casi, sale per concerti o raduni. Erwin Panofsky ha suggerito che esiste un intimo legame tra il modo di costruire una chiesa e il modo di pensare e di vivere degli uomini. Concepire uno spazio sacro, così come avviene oggi, in termini di puro estetismo, è esplicativo del fatto che esse non sono uno spazio sacro. Si vada in una delle chiese erette nel passato: vi troverete un universo simbolico. È una perfetta sintesi armonica tra simbolismo, elementi cosmici e l’animo del credente. La cultura della modernità, nel corso della sua crescita ha fatto una scelta: la perdita del corpo spirituale in favore di un corpo meccanico. Tutto ciò può rappresentarsi come una forma di crescita di tipo inorganico, ovvero connessa con la morte e non con la vita.

Sull’architettura e le città contemporanee
L’architettura è una perfetta chiave di lettura del mondo. L’architettura ha sempre fornito una rappresentazione fisica dei valori propri di un determinato periodo. Ha, quindi, incarnato e rappresentato nelle pietre le aspirazioni dell’Uomo, le sue utopie e la sua psicologia. Essa è, quindi, una manifestazione del modello culturale dominante.
Negli ultimi anni, essa è sempre più elemento rappresentativo dello spettacolo mediatico. È divenuta una sorta di entità magmatica il cui flusso è stato incanalato e modellato dall’inarrestabile ascesa delle nuove forze economico-finanziarie che operano su scala planetaria. Queste nuove forze, globali e senza “radici”, operano in simbiosi con gli architetti della scuola modernista, imponendo sempre più modelli che negano la stessa essenza dell’Uomo. In questo modo, le nostre città sono divenute una massa artificiale) che uccide la plasticità organica delle costruzioni in favore di un ammasso amorfo e privo di vita. In tale coacervo di suoni senza musica la vita ha ceduto il posto alla tecnica e, con essa si è reciso ogni legame con la natura smarrendone il significato profondo.
Possiamo paragonare le architetture della contemporaneità ad una sorta di macchine sterili, forme di delirio plastico che rappresentano il nulla.

Quale Architettura per le nostre città?
Partiamo da un dato di fatto: l’inadeguatezza del paradigma razional-meccanicistico ad affrontare le sfide che attendono le aree urbane nel prossimo futuro. Non è possibile affrontare le sfide di riassetto socio-economico o il problema della sostenibilità con un modello culturale del secolo scorso.
Per l’architettura è più che mai necessario liberarsi quanto prima dal predominio di questa espressione culturale gerontocratica rappresentata dal modernismo. Si stanno facendo tentativi di propinarla come innovazione attraverso innesti di parole come sostenibilità o, attraverso il digital design, generando forme complesse di cui si ignora l’essenza formale e simbolica. L’architettura attuale è spettacolo, roba da film o spot pubblicitari. Nel migliore dei casi si tratta di realizzazioni che hanno una sostenibilità tecnica e puntuale e, formalmente, scultoree rappresentazioni nichilistiche.
Nulla a che vedere con quanto proponiamo noi, ovvero una sostenibilità intesa come processo di morfogenesi, quindi un processo legato alla vita. Dove ogni opera architettonica è trattata come un sottile gioco tra complessità e semplicità, tra ordine e caos. Noi del Gruppo Salingaros parliamo di città biofiliche, ovvero città concepite attraverso le leggi che sottendono la vita e, per questo, intimamente correlate alle esigenze socio-psicologiche dell’uomo e con una genetica capacità di relazionarsi, in termini non distruttivi, alla natura.

Per i motivi che ho sopra spiegato, la cultura di stampo illuministico non è in grado di realizzare opere biofiliche perché non ha la struttura mentale per pensarle. Non si tratta di tecnica. Ma di un connubio tra scienza, perizia tecnica e spirito.
Per fare ciò, abbiamo bisogno di una nuova classe di architetti formatisi in università che sappiano diffondere valori etici e culturali veramente nuovi. Università che releghino nei libri di storia dell’architettura l’oramai senile modello modernista che ha dominato l’architettura e l’urbanistica del XX secolo.

In conclusione, è più che mai necessario diffondere un modello culturale e di sviluppo diverso da quello attuale, dove si è reciso ogni legame con la “madre Terra”, dove sono evaporati i fondamenti tradizionali delle idee filosofiche e religiose e il contatto diretto con la natura è stato in gran parte sostituito dall’abitudine a concetti rarefatti, soprattutto del vendere e nel comprare. Il modello che io immagino ha una diversa gerarchia: la necessità meccanica è subordinata a quella organica. perché è quest’ultima ad essere fondamento depositario di forza creatrice, mentre la prima definisce solo i limiti e le regole.

Arch. Antonio Caperna, Presidente della Società Internazionale di Biourbanistica

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