Negli scorsi giorni girava in rete gira una gongolante email di Pino Galeota, già presidente della commissione cultura di Veltroni, nella quale si annunciava un protocollo d’intesa «che riconosce e inserisce il Quadrante Corviale in un progetto d’interesse nazionale». Il sospetto è che si tratti della proclamazione di una vittoria da talpe, e che il vero obiettivo dell’operazione sia la preservazione del Corviale, il serpentone lungo un chilometro, identificato dalla voce popolare con una prigione, ma “gran segno” per l’intellighenzia architettonica ormai sulla soglia della pensione. Contro le critiche urbanistiche e sociali, le proteste montanti, e il gran parlare di necessaria demolizione, ecco spuntare l’astuzia castale di attribuire ad uno dei più deteriori esempi della periferia romana la patente burocratica di “interesse nazionale”. È la scuola del soprintendente di Napoli Stefano Gizzi, il quale propose lo scorso ottobre di vincolare “per il loro valore storico e culturale” (!) le famigerate Vele di Scampia.
Corviale 2011. Foto A. Cerqua |
Del protocollo sappiamo solo che lo avrebbe dovuto firmare il 3 maggio, a Roma, Antonia Pasqua Recchia, Direttore Generale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Architettura e l’Arte Contemporanee presso il Ministero dei Beni Culturali. Possiamo immaginare che, mentre Pompei crolla sotto i vecchi e scriteriati restauri in cemento armato, grazie alla stessa smania per il calcestruzzo che produsse e continua a produrre periferie disgustose ed energivore come il Corviale con grave nocumento del paesaggio d’Italia, la sostanza dell’accordo preveda la distrazione di fondi del ministero a puntello del serpentone. E ci viene da domandare se il Ministro sia al corrente di questa operazione da circolo privato che si sarebbe dovuta svolgere nel cuore del MIBAC, a via di S. Michele. Dico sarebbe, perché il 2 maggio Pasqua Recchia ha improvvisamente annunciato forfait, rimandando la firma del protocollo a data da destinarsi.
Corviale 2011. Foto A. Cerqua |
Il Gruppo Salìngaros e la fondazione AVOE hanno dimostrato come continuare a buttar soldi nelle fauci del serpentone sia una mera scelta ideologica, nonché un grande spreco per le casse pubbliche. Demolirlo gradualmente, mentre si ricostruisce nella sua stessa area un nuovo eco-quartiere urbano come si fa da vent’anni in tutta Europa costerebbe di meno, e avrebbe delle ricadute di sanità pubblica straordinarie. Ma è proprio l’abbattimento del simbolo di una cultura architettonica supponente e autoreferenziale a terrorizzare questi signori, i quali preferiscono di gran lunga gestirne l’economia con buona pace di chi è costretto a vivervi. Incapaci di rispondere all'evidenza, ormai pubblica, costoro hanno scelto la strada della “resistenza” nei corridoi ministeriali.
Stupisce, ma non troppo, che a un simile gioco si sarebbe prestato, se si deve credere all'email, l’Assessorato alla Cultura della Capitale. Resta la speranza di una resipiscenza, magari incoraggiata da amministratori dotati di coscienza del bene pubblico, e dal senso del pudore.
Sul Corviale hanno detto:
- «Corviale, Le Vele, e gli altri ecomostri costruiti seguendo il pensiero totalitario di Le Corbusier, sono crimini contro l’umanità. Chiunque li sostenga come capolavori architettonici partecipa a una colpa oggettiva.» (Nikos A. Salìngaros, matematico e urbanista, Università del Texas a San Antonio, USA)
- «Il più lungo errore del mondo. Il segno più vistoso del fallimento della periferia.» (Sergio Porta, cattedratico di Urbanistica alla Università di Strathclyde, Gran Bretagna)
Dott. Stefano Serafini
Direttore del Gruppo Salingaros
Direttore Ricerche della Società Internazionale di Biourbanistica
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