domenica, gennaio 09, 2011

Strategie di pianificazione nell’epoca della complessità.

Imparare ad apprendere. Strategie di pianificazione nell’epoca della complessità.


di Alessia Cerqua*
Il concetto di “territorio” ha subito negli ultimi decenni, una trasformazione radicale: da risorsa materiale suscettibile di sfruttamento, spazio controllabile ove le diversità sono viste come resistenze alla trasformazione, si è giunti ad una interpretazione in cui è riconosciuto il carattere relazionale e incerto proprio di un sistema complesso. Di conseguenza, la pianificazione esige nuovi approcci: la sfida della complessità, come ricorda Morin, può essere affrontata con successo tramite una maggiore complessità, ovvero una maggiore ideazione di risposte multiple ed intelligibili.

Pianificare in condizioni di complessità ed incertezza

Il pensiero della complessità, a differenza del paradigma riduzionista (fondato sulla scomposizione del mondo in unità elementari, il cui comportamento, sottoposto all’osservazione scientifica, rappresenta regole estendibili a leggi universali) interpreta la realtà come molteplicità irriducibile di sistemi interagenti, un universo di relazioni che si manifestano a differenti scale spaziali e temporali e che sono attivate dalle differenze implicite in ogni sistema. Con l’introduzione dei concetti di indeterminatezza, incertezza, imprevedibilità quali parametri costanti e intrinseci della realtà, sono compromesse le basi della scienza classica, secondo cui una volta conosciute le condizioni iniziali di un sistema, se ne possono prevedere con esattezza ed oggettività i comportamenti futuri. Ciò porta al completo spiazzamento delle abituali modalità di osservazione: «…si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno» (Baumann 2002) [1].

Un analogo spiazzamento si ha nei settori attinenti alla pianificazione territoriale ed urbana: il concetto di territorio ha subito una trasformazione radicale, si passa da una sua interpretazione quale risorsa materiale suscettibile di sfruttamento, spazio controllabile ove le diversità sono viste come resistenze alla trasformazione, ad una interpretazione in cui è riconosciuto il carattere relazionale e incerto proprio di un sistema complesso.
Le differenti interpretazioni che si danno del termine “territorio”, nonostante la varietà dei punti di vista, concordano nel ritenerlo un sistema complesso, caratterizzato da una pluralità di relazioni fisiche, ecologiche, economiche e sociali, e da molteplici proprietà, quali, ad esempio, la dipendenza alle condizioni iniziali e la non linearità delle relazioni tra interventi progettati ed evoluzione spontanea. Di conseguenza, appare non più applicabile l’approccio razionalista alla sua pianificazione, approccio che si rivela ancora meno adeguato se riletto alla luce delle sempre più pressanti richieste di compatibilità ecologico-ambientale, ed ingestibile se rapportato alla dialettica globale/locale. Con tali presupposti, il territorio come sistema complesso si dimostra esplorabile non secondo logiche razionali e deduttive, piuttosto tramite nuovi processi di conoscenza: il pensiero della complessità ci ha reso consapevoli della infondatezza di un unico punto di osservazione capace di omogeneizzare le differenze ed eliminare le contrapposizioni tra i differenti punti di vista, ciascuno frutto di una conoscenza specifica. Nella logica della complessità convivono innumerevoli punto di vista che sovrapponendosi, consentono l’apprendimento ad apprendere.
Tale percorso conoscitivo si riflette nella conoscenza ecologica, ovvero quella modalità di rapportarsi alla realtà che consente (Manghi, 2004) [2] :
  • il tracciare le mappe dei contesti in cui viviamo;
  • il comporre immagini di noi stessi, degli altri, e delle nostre interazioni;
  • il procurarci narrazioni ordinate di quel “disordine quotidiano chiamato esperienza”.
Una prima conclusione che si trae da queste sintetiche premesse è che non è possibile fare affidamento sui tradizionali modelli di analisi e valutazione, pur riconoscendone la indiscussa correttezza scientifica. Piuttosto, come ci ricorda Morin [3], è necessario individuare non tanto una metodologia (che porterebbe, per assurdo, ad un nuovo riduzionismo), piuttosto un anti-metodo, ove l’incertezza e la confusione diventano virtù. Nel pensiero complesso viene, infatti, messa in discussione la possibilità di una conoscenza descrittiva, e viene riconosciuto il ruolo dell’osservatore nel processo conoscitivo, tramite parametri percettivi e codici interpretativi che ha a disposizione. Si afferma così una visione progettuale della conoscenza, dove coabitano molteplici punti di vista e metodologie: l’osservatore fa parte della complessità apportando la sua visione del mondo.
La rilettura del territorio in termini di interazioni consente di riflettere sulle sue modalità di funzionamento e di evoluzione attraverso un approccio particolarmente attento alle relazioni esistenti tra le parti ed il tutto. Inoltre, il riconoscimento della valenza sociale e politica della pianificazione conduce a ripensare la stessa come attività volta a definire soluzioni concordate tra i differenti soggetti che interagiscono nel processo di piano. Ciò porta ad immaginare una struttura progettuale aperta, flessibile, lontana da schematismi e da rigidità funzionali, non deterministica ma caotica, una metodologia progettuale capace di gestire le incertezze e la complessità, individuando non una soluzione, ma una serie di possibili strategie. In altri termini, un processo di pianificazione basato su una visione dinamica del contesto, attraverso la formulazione di una serie di ipotesi, configurando non tanto un sistema gerarchico in cui le differenti forme di azione sono connesse secondo un percorso lineare analisi-piano-progetti, quanto piuttosto attraverso un percorso che sia ciclico ed interattivo.
Secondo Edgar Morin, una delle vie possibili per la conoscenza nell’ambito della complessità e dell’incertezza è da rintracciarsi nella strategia, intesa non tanto come formulazione di programmi, ma come arte di utilizzare le informazioni che “si producono con l’azione, di integrarle, di formulare determinati schemi di azione e di porsi in grado di raccoglierne il massimo di certezza per affrontare ciò che è incerto” (Morin 1997).

Riletta in chiave urbanistica, la strategia di conoscenza – e quindi di pianificazione - del territorio, dovrebbe configurarsi come:
  • Processo di sperimentazione di alternative di sviluppo, ovvero continua riflessione sul cambiamento e sulle trasformazioni desiderabili, sulla moltiplicazione degli orizzonti possibili e/o probabili.
  • Strumento per riorientare pratiche e politiche, capace di individuare ed interpretare le nuove dinamiche di trasformazione dei sistemi territoriali in relazione alle trasformazioni della domanda sociale.
  • Strumento di identificazione di scenari di trasformazione desiderabili, basati su obiettivi condivisi ed attuati in maniera sperimentale attraverso progetti pilota.
  • Modalità di interazione sociale, capace di fare emergere e saper gestire le contraddizioni necessarie per attivare processi comunicativi, valorizzare le differenze, attivare processi di responsabilizzazione ed apprendimento sociale.
  • Percorso verso la sostenibilità che confluisca nella costruzione e nello sviluppo di relazioni coevolutive tra dimensione antropica e cicli evolutivi dell’ambiente naturale.
Tale concettualizzazione rappresenta un importante contribuito per il superamento della visione deterministica e statica del territorio: si ha a che fare con una concezione sistemica della realtà, i cui limiti, senza dubbio, sono rintracciabili nell’aumento delle variabili da considerare; si ricorda, tuttavia, che la sfida della complessità – citando ancora Morin - può essere affrontata con successo solo attraverso il ricorso ad una maggiore complessità, ovvero ad una maggiore progettazione creativa di risposte multiple ed intelligibili. Ciò presuppone il passaggio da forme di conoscenza e di azione di tipo analitico, tecnico e gerarchico a percorsi e metodi basati sull’ascolto delle differenze e delle specificità del territorio, introducendo modalità di intervento di tipo interattivo, relazionale, imparando ad apprendere da più prospettive, spesso in conflitto tra loro.
Riferimenti
Cerqua A., Complessità ed incertezza nella pianificazione: un approccio interdisciplinare per la comprensione delle dinamiche territoriale, Aracne Ed., Roma, 2009
[1] Bauman Z., 2002, La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna.
[2] Manghi S., 2004, La conoscenza ecologica, Raffaello Cortina Editore, Milano.
[3] Morin E., 1977, La Méthode: La Nature de la Nature, Ed. du Seuil, Paris, 1977 Trad. It. Il metodo, Feltrinelli, Milano..


Arch. Alessia Cerqua, direttore scientifico del "Journal of Biourbanism"

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