di Ettore Maria Mazzola
La proposta del Comune di Roma di realizzare un parcheggio interrato multipiano tra il Lungotevere Marzio e via di Monte Brianzo, ha giustamente suscitato il timore, da parte della cittadinanza romana, di vedere peggiorare la situazione del traffico e dell’inquinamento, già di per sè critica in quel punto di Roma. Anche all’interno degli uffici comunali non tutti la pensano come i promotori dell’iniziativa, e questo perché non ci vuole un cervellone per rendersi conto che un parcheggio per oltre 1100 autovetture – quale quello proposto – non solo non funge da “dissuasore” del traffico come è stato detto, bensì lo amplifica: è ovvio che, sapendo che lì c’è la speranza di trovare un parcheggio, chiunque a Roma si potrà ritenere in diritto di prendere la sua automobile e puntare verso il Lungotevere Marzio per parcheggiare e fare il suo shopping.
Ritenendo questa mia semplice lettura sufficiente a chiarire quelle che sono le motivazioni per le quali si deve ritenere inutile e dannosa questa realizzazione, non mi dilungherò sul problema specifico di questo parcheggio, quanto sulle problematiche più ampie che sono alla reale base del problema.
Centro e periferie
Le nostre città, fino ai primi anni del ‘900, si erano sviluppate su sé stesse mantenendo inalterato, o quasi, il rapporto città-campagna, al contempo i centri urbani si erano arricchiti di edifici che, anche se talvolta avevano sostituito delle preesistenze, comunque avevano saputo integrarsi con la storia precedente. Successivamente, i folli sventramenti fascisti – attuati e non – seguiti dal disastro urbanistico-architettonico generato dall’idea di azzeramento della storia e da quelle sul falso storico, crearono le più che giustificate premesse per impedire che si potessero continuare a manomettere i centri storici.
Il nostro territorio, le nostre città, e la gente in generale, hanno dovuto subire gli effetti devastanti dei “moderni” Piani Regolatori, i quali mai hanno tenuto in considerazione gli aspetti fondamentali di sviluppo dei nuclei storici: MOLTIPLICAZIONE e DUPLICAZIONE! Quando un centro era saturo ne nasceva uno nuovo, “analogo” al precedente, dove tutti i servizi e gli spazi vitali erano presenti, ognuno di questi era un quartiere autonomo,
Così, figli della Ville Radieuse di Le Corbusier e dello zoning conseguente, si sono operati sviluppi concentrici – “a macchia d’olio” – delle città, i cui “quartieri” periferici sono stati costruiti ponendo attenzione ai soli numeri dettati dagli standard urbanistici, nonché, ovviamente, al massimo profitto speculativo. Nel frattempo però si è fatto credere che si fosse rispettosi dei centri storici perché non si consentiva più di toccarli. Questo modus operandi ha portato al fenomeno della moderna “città dispersa”, priva degli spazi vitali, in opposizione alla “città compatta” dei centri storici, pullulante di vita.
Questo sviluppo urbano ha generato due fenomeni:
• in periferia – il dissipamento della risorsa territorio, accompagnato dalla mancanza di spazi vitali;
• in centro – in conseguenza della scriteriata politica urbanistica delle periferie, il congestionamento delle strade ed il persistere di situazioni degradate spesso a causa dei fallimenti urbanistici del ventennio fascista.
Paradossalmente, una volta che la situazione era stata compromessa, i nostri politici, supportati da quegli architetti ed urbanisti che avevano generato il problema, ci hanno voluto far credere che la causa del congestionamento della “città compatta” fosse attribuibile al “dedalo di viuzze” che la caratterizza, mai però ci si è soffermati a riflettere sul fatto che una gran parte del congestionamento derivi dall’enorme flusso di persone che dalla periferia si riversa sul centro alla ricerca di quegli spazi vitali che le sono stati negati!
Quando, all’epoca dell’inurbamento conseguente la Rivoluzione industriale, la città di Londra stava andando verso il collasso, il socialista utopista Owen ebbe a far notare: «Quando la borghesia si accorgerà che le città sono diventate delle polveriere, che in esse maturano idee rivoluzionarie, e addirittura vere rivoluzioni, in quel momento crederà opportuno intervenire non tanto per cercare di migliorare la condizione della classe operaia, quanto per conservare se stessa e il suo potere». Sulla scia del suo pensiero nacque l'intervento pubblico in edilizia.
Oggi, alla luce di quella che è la condizione urbanistica e sociale delle nostre città, avremmo tutto il diritto di parafrasare Owen dicendo: quando gli urbanisti e la classe politica si renderanno conto che le periferie ed i centri storici stanno raggiungendo un punto di non ritorno, in quel momento crederanno opportuno intervenire saggiamente sulle periferie, non tanto per migliorare la condizioni di vita degli abitanti delle periferie quanto per proteggere i centri storici.
Oggi si crede, o meglio si fa credere, che costruire un edificio “griffato” in una periferia degradata serva a riqualificare il quartiere, ovviamente basta analizzare interventi come la Chiesa di Meier o l’Auditorium di Renzo Piano a Roma per rendersi conto che questa è mera politica della menzogna, è la quintessenza della retorica: non è la firma che genera vita, ciò che serve è un adeguato tessuto urbano ed una giusta commistione di funzioni. Un quartiere dormitorio non si ravviva con un intervento puntuale, bello o brutto che sia, bensì con l’estensione del concetto di riqualificazione urbana dal livello edilizio a quello ambientale.
Solo in questo caso sarà possibile migliorare la vita degli abitanti delle periferie e decongestionare i centri storici.
Generalmente, il governante tende con il suo operato a promuovere se stesso; così, per poterlo fare nel breve mandato in cui è certo che egli sarà in carica, sarà intento ad accellerare al massimo i tempi a sua disposizione: è questa la ragione per cui, sempre più spesso, ci si trova davanti ad interventi architettonici semplicistici ed inutili, figli del pressappochismo con cui sono stati concepiti. Il Museo dell’Ara Pacis e la Chiesa di Meier di Roma sono tra gli esempi più lampanti. L’intervento puntuale, inutile ma “vistoso”, meglio dunque se “griffato”, verrà sempre preferito ad un intervento di riqualificazione periferica più capillare ad appropriato, in quanto “invisibile”.
All’epoca della ricostruzione post-bellica Carlo Ceschi faceva notare: «[...] È necessario che il fattore economico, finora dominatore assoluto di ogni decisione urbanistica, venga riportato al suo giusto posto di subordinazione e che l’interesse privato cessi di avere valore risolutivo. La città è dominio pubblico anche se composta di proprietà private, essa è l’ambiente in cui vivono, lavorano, producono tutti i cittadini, e le sue strade, le sue piazze, i suoi giardini ed anche le facciate delle case che limitano strade e piazze costituendone la fisionomia, appartengono alla vita comune. Questo concetto fondamentale è necessario tener presente nel preordinare la fase ricostruttiva delle nostre città ferite».
I nuovi quartieri che vanno sviluppandosi intorno a Roma sono sempre più monotoni e disumani, tutto viene progettato in funzione dell’automobile.
Due anni fa ho partecipato al Concorso “Rione Rinascimento”, un concorso promosso dalla Fineuropa Spa per il quale eravamo tenuti a mantenere le sagome e le volumetrie degli edifici che all’interno della Fineuropa erano già stati decisi. L’impressione che ebbi del “quartiere imposto” fu che esso fosse l’ennesimo “Torrino”, dove le strade e le piazze sono state progettate per transitare e parcheggiare le automobili, dove la larghezza della sede stradale sembra progettata per invogliare gli imbecilli a fare corse automobilistiche e gli esseri normali ad aver paura di attraversare la strada: partecipai con tono critico presentando un Master Plan alternativo (in realtà si trattava di un migliramento abbastanza semplice di quanto ci era stato imposto), ironia della sorte il mio gruppo ricevette una menzione speciale ... ovviamente sarebbe stato impossibile ricevere un premio che avrebbe significato anche dover realizzare la proposta. La cerimonia di premiazione vide il Sindaco di Roma inneggiare a questo “atteggiamento mecenatesco” del privato (Fineuropa) per il miglioramento della nostra città. Se si leggono le relazioni accompagnatorie dei progetti vincenti, così se si pensa a quallo che sarà il carattere urbanistico del quartiere è lecito chiedersi: quale miglioramento??? Questo è l’ennesimo caso di una città che viene progettata per le auto e che dimentica la proprietà pubblica delle facciate e degli spazi urbani dove deve svolgersi la vita, le relazioni sociali vengono demandate agli orribili centri commerciali (per i quali è ovviamente necessario l’uso della macchina), oppure al centro storico ... finché non verrà operata la sua desertificazione: la popolazione e le attività artigianali, grazie alle iniziative comunali, vengono sempre più velocemente sostituite da attività turistico/ricettive, e i residenti poco alla volta, in maniera meno dolorosa che durante gli sventramenti fascisti, stanno abbandonando le loro dimore per recarsi nelle periferie dove, però, non troveranno né il carattere architettonico, né tantomeno quello urbanistico del loro quartiere di origine e, dunque, saranno “costretti” a tornare saltuariamente in centro per trovare un pò di vita. Risultato di tutto ciò? Caos!! Ma la colpa verrà data alle strette viuzze del centro.
Tutti gli errori urbanistici commessi da 70 anni a questa parte, dovrebbero servirci per renderci conto che lo pseudo “moderno” modo di operare è stato completamente sbagliato, e con questo mi riferisco sia alle vergogne moderniste che ad alcune opere che alcuni ottimi architetti dediti alla tradizione avrebbero voluto, oppure hanno realizzato nelle nostre città in nome di una politica sbagliata. Tutto ciò deve portarci a riflettere che è possibile raggiungere un compromesso operando con saggezza e logicità come i nostri predecessori avevano fatto; in questo modo le nostre città potranno tornare a funzionare.
note sull'autore: Ettore Maria Mazzola, architetto, visiting assistant professor of architecture presso la University of Notre Dame School of Architecture, Roma
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